venerdì 29 aprile 2016

ESISTE IL LIBERO ARBITRIO?

Una domanda alla quale da secoli tentano di rispondere umanisti e scienziati dividendosi anche al loro interno tra sostenitori e negazionisti, e che Hume definì «La più controversa questione della metafisica e della scienza»
Eppure, per chi aderisce alla visione olistico-sistemica della realtà, questa sembra una domanda senza senso. Infatti, se consideriamo l'uomo come l'attuale punto di approdo della tendenza all'incremento della complessità che caratterizza il processo evolutivo universale che a partire dall'energia primeva, ha portato gli stati quantistico > atomico > molecolare > chimico > biologico > cerebrale a "produrre" la nostra mente, risulta evidente che solo la soddisfazione di tutte le necessità attuative degli stati che ne consentono l'emergere può metterla in condizione di deliberare per la propria affermazione nel confronto con le necessità attuative dell'ambiente in cui opera.
Quindi, in definitiva si tratta di accettare che la nostra libertà decisionale, come quella di ogni altro essere vivente, è direttamente proporzionale al numero di variabili su cui siamo in grado di agire, e che esse, a loro volta, sono direttamente proporzionali alla complessità della struttura che le esprime — potrà mai un'ameba con i suoi "quattro" neuroni e senza il pollice opponibile avere il grado di libertà decisionale di un essere umano? —.
Ora, dopo millenni di accumulo culturale e tecnologico, per l'Homo sapiens del terzo millennio, le variabili e le possibilità di interpolazione sono diventate talmente numerose che le nostre infinite e inderogabilil volontà costitutive sembrano governabili da un libero arbitrio sempre più potente. Ma, bisogna ammettere che per la realizzazione dell'immagine che abbiamo di noi stessi, siamo costretti ad ingaggiare una battaglia continua su molteplici fronti che però, pur non consentendo di liberarci dai loro condizionamenti, ci mette anche in grado di condizionarli a nostra volta. Da qui, il nostro continuo oscillare tra la sensazione di poter governare la realtà e quella di esserne in balia, quando invece dovremmo accettare che il nostro arbitrio non può essere mai assolutamente libero proprio perché si manifesta in un "sistema" e non in una serie di rapporti tra enti che separatamente non esistono.
Per tutto questo, penso che credere in un totalmente "libero" arbitrio, come credere in un destino predeterminato siano due posizioni che, essendo assolute, si rivelano errate proprio perché non tengono conto della complessità delle relazioni tra soggetto e mondo.
Per chiudere mi piace ricordare l'opinione di Voltaire che nel 1766 nel suo Philosophe ignorant, scrisse: "In realtà sarebbe ben strano che tutta la natura, tutti gli astri obbedissero a leggi eterne, e che vi fosse un piccolo animale alto cinque piedi che, a dispetto di queste leggi, potesse agire come gli piace solo in funzione del suo capriccio."

Francesco Pelillo

ETICA DELLA COMPLESSITÀ

Etica liberista, socialista, pacifista, militarista, cristiana, musulmana… se continuiamo a cercare di definire l'etica partendo solo dalle esigenze dettate dal nostro "umanesimo" per come l'abbiamo inteso fino ad oggi, continueremo ad allestire etiche contingenti che per la loro affermazione si traducono inevitabilmente in sopraffazioni giustificate "eticamente" dagli uni e subite dagli altri. Ma, se abbandoniamo definitivamente la miope pretesa antropocentrica di applicare esclusivamente le nostre categorie al mondo, e proviamo a partire dalle leggi che ne regolano l'evoluzione per procedere verso l'uomo, forse potremo finalmente sperare di uscire dall'impasse millenario in cui ci siamo cacciati.
Oggi, stando ai dati "scientifici" in nostro possesso, possiamo affermare che a partire dal cosiddetto Big Bang e dalla successiva nucleosintesi, il sistema universale è approdato alla formazione dello stato biologico che nell'uomo ha dato vita a quello stato mentale che, data la nostra socialità e le nostre ampie possibilità di libero arbitrio, richiede la definizione di un'etica comportamentale.
In questo percorso evolutivo iniziato circa 14 miliardi di anni fa e governato a tutti livelli da processi di mutazione e selezione che prevedono l'attuazione di infiniti tentativi anche contraddittori perché privi di qualsiasi finalismo, l'unica costante che possiamo rilevare è la tendenza all'aumento della complessità aggregativa delle stesse forme di energia primordiale. Complessità incrementale che sembra essere la sola condizione in grado di fare resistere qualsiasi ente alla forza disgregatrice determinata dalla tendenza alla massima entropia del sistema universale.
Detto questo, per tornare alla identificazione di una etica anch'essa universale, da tutto ciò ne dovrebbe discendere che dovremmo considerare "eticamente" sbagliato tutto ciò che ostacola l'aumento della complessità e ritenere giusto tutto ciò che lo favorisce. Perciò dovremmo ritenere eticamente giusto ostacolare tutto ciò che tende a semplificare in modo lineare i rapporti umani e preferire tutto ciò che li rende complessi in modo sistemico. E così, per esempio, in politica essere contro la dittatura e il centralismo e a favore del massimo pluralismo diverrebbe eticamente necessario così come essere contro tutti gli apparati di potere economico, culturale, religioso, militare… che tendono a perpetuare lo status quo locale impedendo di fatto l'evoluzione collettiva dell'umanità. Eliminare la violenza nei rapporti umani non sarebbe più auspicabile solo nei termini moralistici che, come vediamo dalla storia e dalla cronaca, non hanno sortito alcun effetto, ma diverrebbe necessario perché la violenza tende a semplificare rozzamente i nostri rapporti invece di consentire lo sviluppo della complessità che emerge dal confronto dialettico. Così come dovremmo ritenere immorale l'elevazione di muri che dividono popolazioni perché impediscono lo sviluppo di nuove realtà culturali e ritenere le religioni "rivelate" deleterie perché rendono superflua l'indagine delle ragioni della complessità della nostra realtà.

Francesco Pelillo -