martedì 26 maggio 2015

TEMPO ESSERE E DIVENIRE

"Il tempo? Se non me lo chiedi so cos'è. Ma se me lo chiedi non lo so più", diceva Agostino d'Ippona, il vescovo vissuto tra il IV e il V secolo.
In effetti, quello del tempo è un concetto di cui da sempre si occupa la filosofia senza riuscire a spiegarlo, e ora, dopo la sua relativizzazione rispetto alla posizione dell'osservatore dimostrata da Einstein, alcuni fisici ne negano addirittura l'esistenza a livello quantistico fondamentale (Carlo Rovelli "La realtà non è come ci appare" Raffaello Cortina Editore). Ma questo non significa che il tempo sparisce dalla nostra vita di tutti giorni. Significa solo che esso è frutto di relazioni e che queste relazioni sono rilevabili solo da strutture complesse dotate di "strumenti" cognitivi che siano in grado di acquisire e conservare i dati offerti dall'esperienza vitale.
Infatti, basterebbe non ricordare l'ultimo istante vissuto, così da non poterlo mettere in relazione con l'istante attuale, per perdere completamente il concetto di tempo e farci apparire tutta la realtà continuamente immanente, come in effetti è...
Quindi, la memoria è il "luogo" dove costruiamo il tempo perché non è possibile stabilire relazioni spaziali tra cose o eventi senza associare ad esse un tempo in cui tali relazioni si sviluppano dandoci la certezza del loro divenire.
Usando una metafora si potrebbe considerare una pellicola cinematografica nella sua interezza. Il "racconto" di quella realtà in essa rappresentata può considerarsi immanente ed è per noi inaccessibile anche se la proiettiamo su uno schermo svolgendola in modo continuo senza gli "stop and go" di ogni singolo fotogramma. Solo la relazione che si instaura grazie alla permanenza temporanea nella retina dell'immagine del fotogramma che precede quello attuale ci dà la sensazione che il racconto si svolga in un tempo e in uno spazio.
Come si vede, tutto ciò ha implicazioni filosofiche enormi e che quindi l'eterna diatriba tra l'Essere parmenideo e il Divenire eracliteo non potrà mai essere risolta in termini oggettivi dato che ora possiamo affermare che la nostra dimensione è definita dalle nostre stesse caratteristiche strutturali che fanno apparire il "nostro" spazio-tempo e, al contempo, non possiamo escludere che quello stato dell'ESSERE, immobile e senza spazio-tempo, sia anche il nostro e che il nostro DIVENIRE sia un processo a bilancio energetico "0" di cui nello stato immobile non rimane traccia... Ma qui, come si vede, debordiamo nella metafisica... e ognuno se la spupazza come vuole... Secondo me, per coerenza logica, poiché l'Essere può essere solo immaginato e il Divenire può essere solo vissuto, non ci rimane che pensare e agire aderendo alla convenzione che la nostra dimensione esista, lasciando il resto al dominio delle arti e delle poesia. A quanto pare, da capire e da fare ne abbiamo più che a sufficienza...
Francesco Pelillo -

lunedì 2 marzo 2015

I NEURONI COMUNICANO A DISTANZA MEDIANTE CAMPI ELETTRICI

Ci risiamo… Ecco un'altra scoperta delle neuroscienze che si presta a essere interpretata in modi opposti da spiritualisti e materialisti.
In uno studio pubblicato nella rivista Nature Neuroscience da un gruppo di ricercatori coordinati da Costas Anastassiou del Californian Institute of Technology (Caltech) negli Stati Uniti, è stato osservato che dei campi energetici molto deboli, dell'ordine di un microvolt per millimetro, modificano l'attivazione di singoli neuroni aumentandone il sincronismo.
Sappiamo che i neuroni nel cervello comunicano a livello biochimico mediante collegamenti fisici chiamati sinapsi. Tuttavia, i neuroscienziati hanno trovato solide prove che i neuroni comunicano tra loro anche mediante deboli campi elettrici.
Non si sapeva nulla riguardo a questi deboli campi poiché essi sono troppo deboli per poter essere misurati a livello dei singoli neuroni. Perciò i ricercatori hanno deciso di determinare se questi deboli campi hanno qualche effetto sui neuroni.
Non è stato un compito facile. Degli elettrodi estremamente piccoli sono stati usati a brevissima distanza in un gruppo di neuroni di ratto riuscendo così a misurare dei campi debolissimi che, modificando in modo netto l'attivazione dei singoli neuroni, aumentano la cosiddetta "spike-field coherence", il sincronismo con cui i neuroni si attivano in relazione al campo.
"Io credo fermamente che la comprensione dell'origine e della funzionalità dei campi cerebrali endogeni porterà a molte rivelazioni riguardanti l'elaborazione delle informazioni a livello dei circuiti, che, secondo me, rappresenta il livello in cui hanno origine percezioni e concetti," ha detto il dott. Anastassiou. E su questo possiamo dirci sostanzialmente d'accordo. Ma l'articolo si chiude con: "Questo, a sua volta, ci porterà a indagare come la biofisica crea la cognizione in modo meccanicistico, e questo, io ritengo, rappresenta il sacro Graal della neuroscienza."
Su questo non sono assolutamente d'accordo. Pur ammettendo che questa sia una scoperta che ci potrebbe aiutare a capire come la biofisica crea la cognizione, a me sembra dimostrare esattamente il contrario, perché questi campi energetici tolgono alla sequenza delle azioni sinaptiche proprio il meccanicismo che deriva dalla consequenzialità rilevata in sede locale e introducono un parallelismo attuativo e interpretativo delle connessioni che, rispondendo a fattori energetici, i cui effetti sono ancora da esplorare, lasciano aperta la domanda sulla natura di quella che chiamiamo "spiritualità" con le sue intuizioni, emozioni, astrazioni, trascendenza... che nulla hanno a che fare con il meccanicismo riduzionista, e magari emergono proprio grazie a questi campi.
Francesco Pelillo